Attualmente vengono utilizzate per l’irrigazione ma ancor più che nel passato per l’allevamento della Tinca gobba dorata del Pianalto (Tinca Tinca), funzione da cui deriva il nome peschiera. La superficie delle peschiere che si prestano all’irrigazione varia circa da 4.000 a 10.000 mq., mentre per le loro dimensioni solo due bacini della zona escono dall’ordinario e vanno considerati a parte: il lago della Spina e quello di Ternavasso (sito nel limitrofo Comune di Poirino). Per la loro realizzazione si sfruttavano anche depressioni naturali che venivano sbarrate sui restanti lati. La profondità media non supera i 2.50-3.00 m. perché se da una parte favorisce una maggiore raccolta d’acqua per l’irrigazione dall’altra una maggiore profondità danneggia l’allevamento.
La Tinca (in dialetto “tenca”) ha un corpo piuttosto massiccio con le pinne brevi e molli e quella caudale ottusa. Le squame sono minute ed il colore è variabile, di solito è di un verde olivastro, lavato di giallognolo, ma si vedono esemplari rosso dorati con o senza macchie nere. Nelle peschiere di Pralormo viene allevata la, che si distingue dalle altre varietà per l’aspetto e per il sapore della carne: infatti a differenza delle tinche di risaia o provenienti da peschiere site in terreni meno argillosi di quelli dell’altipiano, quelle gobbe dorate non presentano sapore fangoso.
Per queste particolari caratteristiche, ed in applicazione della direttiva 92/43/CEE “Habitat” relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali e della flora e della fauna selvatiche, è stato individuato il SIC – Sito d’Importanza Comunitaria “Peschiere e Laghi di Pralormo” (IT 1110051): è stato identificato per la presenza di specie vegetali acquatiche rare anche se non organizzate in popolamenti ben definiti e per la presenza di avifauna acquatica nidificante e di passo e di siti riproduttivi per numerosi anfibi.
A questo punto è necessario soffermare l’attenzione sul Lago della Spina, che mutua il suo nome dal omonimo Santuario della Spina. I primi lavori per la realizzazione del lago iniziarono nel 1827 per iniziativa del conte Vincenzo Sebastiano Beraudo, ma purtroppo queste prime opere andarono perse: a quest’anno risalgono le Lettere Patenti emanate il 28 agosto del 1827 da Sua Maestà Carlo Alberto, con le quali venne dichiarata la pubblica utilità dell’opera ed approvato il Regolamento per “il buon governo delle acque del serbatoio”.
Nonostante ciò l’ambizioso progetto di creare un bacino artificiale per l’irrigazione dei prati circostanti non venne abbandonato e qualche anno più tardi per iniziativa del conte Carlo Beraudo e del Marchese Ferrero della Marmora, consignore di Pralormo, si ricominciarono i lavori.
La direzione di questi venne affidata all’ingegnere idraulico Cavaliere Barabino, che realizzò un’opera di enorme prestigio non solo per le dimensioni, ma anche per l’ingegnoso meccanismo d’irrigazione di cui dotò l’invaso.
Venne infatti costruito uno sbarramento in materiali sciolti alto 20 metri, trasversale alla piccola valle del rio Torto ed in grado di contenere oltre 1.000.000 di m3 di acqua: il lago è un bacino dalla forma allungata che, nella porzione a monte, si divide in due bracci, uno volgente a sud, l’altro verso nord. Le dimensioni massime raggiungono circa 1 km di lunghezza, e 200 m di larghezza nel punto più ampio. Il fondo dell’invaso si trova ad una quota inferiore ai 281 m s.l.m., mentre la quota di coronamento raggiunge i 295,20 m s.l.m.La direzione di questi venne affidata all’ingegnere idraulico Cavaliere Barabino, che realizzò un’opera di enorme prestigio non solo per le dimensioni, ma anche per l’ingegnoso meccanismo d’irrigazione di cui dotò l’invaso.
Sul lato sud dell’invaso si trova lo sbocco della galleria di derivazione delle acque del rio Riserasco. La galleria si presenta costruita in mattoni per uno sviluppo complessivo di circa 150 metri. Risalendo l’alveo del rio Riserasco, dopo un percorso di circa 600 metri, si incontra una seconda galleria datata anno 1901 (galleria di Montà), costruita in mattoni ed in parte rivestita in calcestruzzo; a sua volta questa seconda galleria (lunga 600 metri) raccoglie le acque drenate da un canale di gronda capace di raccogliere gli scoli dei soprastanti versanti a partire dalla località S. Vito di Montà d’Alba (CN).
Le citate opere di adduzione delle acque consentirono di realizzare un sistema di irrigazione che tramite un galleggiante raccoglieva solo l’acqua più superficiale “più fertile e tiepida”, evitando di tagliare la diga tutte le volte che fosse necessario irrigare.
Dopo l’alluvione del 1994 e i danneggiamenti alla diga in terra battuta, il livello del bacino viene mantenuto basso per ragioni di sicurezza. I lavori di realizzazione degli organi di scarico ai sensi delle attuali normative si concluderanno nel corso del 2010, consentendo nuovamente la massima capacità d’invaso.
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